Dato il panorama piuttosto desolante del broadcasting di casa nostra, c’è solo da rallegrarsi del fatto che da qualche giorno esista un canale televisivo interamente consacrato all’arte e alla cultura, come Sky Arte HD.
In questi primi giorni di programmazione, devo ammettere che è stato consolante sapere che da qualche parte nell’ormai sterminata guida programmi di Sky avrei potuto trovare un proposta dichiaratamente “culturale”, pur con tutti i vincoli e i limiti della televisione lineare.
Nell’epoca di un Web dove puoi ormai trovare davvero tutto quello di cui hai bisogno per soddisfare la più sfrenata highbrowness, dalla più onesta alla più smaccatamente autoreferenziale, e per giunta sempre on demand, indovinare il modo di conciliare tempi, stili, linguaggi, linea editoriale e soprattutto un modello di business adeguato a un canale di televisione lineare di questo tipo rappresenta una vera e propria sfida che merita tutto il sostegno possibile.
Ma quante possibilità ci sono di vincere questa sfida? E’ presto per dirlo. Di sicuro, da quel poco che si è potuto vedere finora, Sky Arte ci rivela il suo essere, soprattutto, un “contenitore di cose belle”, senza pretendere troppo di discuterle, o – atto estremo – di farne l’oggetto di un dibattito intellettuale. Il paragone immediato è con l’ormai trentennale esperienza di Arte-TV, la televisione pubblica franco-tedesca, che forse proprio per il fatto di non avere alle spalle un vero e proprio modello di business (la tengono in piedi gli oltre 150 milioni di abbonati alla televisione pubblica dei due Paesi), e anche per la circostanza di costituire l’unica vera e propria “Tele-Sogno” realizzata su larga scala, ha una libertà di linguaggio e di sguardo sulla realtà – il famoso régard decalé – che chiunque abbia come stella cometa il far quadrare i conti non potrà mai permettersi di indossare.
Ed è qui la principale differenza: Arte-Tv non è un contenitore estetico, ma un canale che nasce per far pensare attraverso un terreno comune: il dibattito culturale mitteleuropeo, che mette continuamente in discussione il punto di vista occidentale rispetto alle grandi “forze del mondo”. E con una dialettica legittima ed autorevole proprio perchè espressione di quella “eccezione culturale” giudicata necessaria rispetto ai modelli culturali di massa di matrice anglosassone.
Sky Arte sembra piuttosto guardare all’arte internazionale (prima che alla cultura) attraverso un filtro consolatorio, un setaccio di “recupero del bello in quanto tale”, che tradisce l’ovvio riflesso di proclamarsi anzitutto in opposizione alle brutture televisive espresse dalla TV italiana negli ultimi (almeno) trent’anni. E forse anche un modo efficace per rivendere il prodotto (e pare ci stiano riuscendo) nei pacchetti delle altre consociate Sky in giro per il mondo, anche loro alla prese col classico restyling autunnale.
E così, dopo la roboante inaugurazione, segnata da una suggestiva docu-fiction originale su Michelangelo – si parte sempre dai fondamentali – e alcuni bellissimi acquisti da altre reti (mi pare si intenda saccheggiare soprattutto la PBS che Romney vorrebbe strozzare, ma anche e la stessa Arte-Tv, e spero proprio di non sbagliarmi) adesso possiamo rifarci gli occhi con lo schiaccianoci di Ciajkovskij o coi bellissimi documentari sui Doors, in attesa di cogliere i succosi frutti dell’accordo col Cinecittà-Luce, che già grandi soddisfazioni ci regalò su History Channel. Roba da leccarsi i baffi, insomma. Ma quanto durerà?
La domanda non è scontata, visto che non è la prima volta che si prova una operazione del genere nel nostro paese. Per dire, quando qualche testa calda della Rai pensò di inserire “RaiSat Art” nel pacchetto premium di RaiSat prodotto per una Pay-TV che allora si chiamava “Telepiù”, l’esperienza durò poco più di due anni, con tanti applausi e molti rimpianti per non aver saputo rinnovare l’accordo di distribuzione con Sky.
Il tema centrale è quindi ancora una volta quello del modello di business. Se – come pare – si stia cercando di battere il chiodo delle sponsorship “alle spalle” della produzione (è già molto chiara la presenza di Enel e Banca Intesa in questo senso) credo che si potrà costruire un discorso serio e di lungo periodo. Se invece si punterà su una operazione di semplice “rilucidatura” del marchio Sky anche a costo di tenere il canale in perdita – un po’ l’operazione che fu tentata con Current TV, poi chiusa – si disse – per un capriccio anti-Gore del Capo – il discorso potrà durare il tempo di una lunga campagna pubblicitaria. Ma spero proprio non sia così.