Archivi del mese: luglio 2014

Android Tv è un passo indietro. Nella migliore delle ipotesi.

xl_Philips-Android-TV-624

Sono ormai alcuni mesi che gioco con la Chromecast, l’accrocchetto iper-cheap che trasforma qualsiasi flatscreen in una Connected TV, e mi stavo pure divertendo. Anche perché, per la prima volta, non è un sistema che dipende da accordi con le major, i broadcaster e i costruttori di televisori, ma un vero “disintermediatore” che sposta ogni interazione sugli schermi che Google già domina (smartphone e tablet) riducendo lo schermo del salotto al semplice ruolo di “visualizzatore finale”.

Adesso però, come un fulmine a ciel sereno Google cambia di nuovo le carte in tavola e lancia una “roba” che si chiama Android TV. Ora, io capisco che nel mondo OTT quasi tutto è software, tutto si può lanciare e buttare in un secchio poco dopo (ricordate Google TV?) però in questo caso la prima impressione è che anche dall’alto di Mountain View l’orizzonte di cosa fare, con questa benedetta Connected Television, sia avvolto nella nebbia più fitta.

Che cosa cavolo è Android TV? Non è, provano a ripetercelo in ogni modo, “una piattaforma”. A risentire l’annuncio della I/O Conference, parrebbe un semplice aggregatore cross-screen, che riorganizza tutti i tuoi contenuti, giochi compresi, a patto che

1) tali contenuti siano gestiti nella nuvola di Google, quindi YouTube, Google Play, Google Music, ecc. e….

2) il grande schermo finale sia di un costruttore con cui Google ha stretto un accordo (per ora Sony, Sharp, e pochi altri).

La cosa affascinante è che – sempre ad ascoltare l’annuncio di Google – Android TV comprenderebbe tutte le funzionalità della Chromecast. Ma questo è ovviamente vero solo se tali funzionalità sono integrate nei televisori costruiti da chi si accorda con Google, quando invece la chiavetta Chromecast standalone attraverso la porta HDMI non guarda in faccia nessuno: come si diceva prima, “è un disintermediatore”.

Insomma, a una prima occhiata (ma magari occorrerebbe prima vederla in azione) verrebbe da definire Android TV una pallida imitazione di Apple TV senza il fastidio del set top box, e comunque con qualche anno di ritardo. Verrebbe a questo punto da chiedersi: perché Google continua a comportarsi come il granchio che fa un passo avanti e due indietro, quasi intimorita dal più grande degli schermi, l’ultimo che gli rimarrebbe da conquistare?

E’ come si ci fossero due anime. Una, poco creativa, che cerca di copiare il modello iTunes, quello di presentarsi dalle major, dai broadcasters e dai costruttori per dire “sono l’unico che può salvare le vostre industrie”. E questa si chiama Android TV.

L’altra anima è quella che potremmo chiamare “la rotta di collisione”, su cui la Chromecast iniziava a muovere i primi timidi passi: è quella per cui anzitutto le “cose” (le interazioni, le condivisioni, gli scambi di dati, la social tv…) succedono sugli schermi dominati da Android, abilitando i modelli tipici che foraggiano Google. Solo in un secondo momento, sperando che un numero crescente di applicazioni Android  supportino Chromecast, il contenuto – non necessariamente video –  atterra sullo schermo grande, rubando la scena (e il pubblico) al canale televisivo tradizionale, con conseguente stracciamento di vesti di quest’ultimo, delle major, insomma di tutto il vecchio mondo.

Ma siamo sicuri che sia solo schizofrenia, questa di Google? E se il secondo scenario non fosse solo un secondo tavolo per far capire agli altri cosa potrebbe succedere loro se non venissero accolte le condizioni di Google sul tavolo principale (Android TV, appunto)?

Non sarebbe nemmeno l’unico caso in cui Google crea una situazione di fatto solo per utilizzarla come leva negoziale. Sappiamo, per esempio, che Google ha minacciato le etichette musicali indipendenti di togliere i loro video da YouTube se non aderiranno al servizio di video a pagamento di cui si parla da qualche tempo.

Se così fosse, direi che è facile dire “Don’t be evil”, con la bontà degli altri. Ma magari sono solo mie congetture. Staremo a vedere.