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Perché non avremo mai la S-Bahn

sbahn

Noi non avremo mai un treno urbano come la S-Bahn di Berlino. Noi avremo sempre la nostra tronfia, pesante e ridicolmente insufficiente metropolitana.

Quella metropolitana che i berlinesi ovviamente hanno, e che chiamano U-Bahn, ma che non è precisamente il loro orgoglio. Perché ce l’hanno tutte le capitali civili, una vera metropolitana sotterranea, con decine di linee intrecciate ed interconnesse agli altri servizi di trasporto.

Mentre loro hanno questa cosa, la S-Bahn, che solo i berlinesi possono compiutamente avere. Più elegante della RER di Parigi, più capillare dell’Overground Londinese, la “S” è un servizio di treni urbani che corrono in sopraelevata, ma discretamente, attraversando una città con cui vivono in simbiosi. Senza ferirla, senza stuprarla, come puntualmente accade coi nostri nostri inquietanti nodi ferroviari, concepiti come barriere, anzi fratture del tessuto metropolitano.

Sotto le arcate della S-Bahn, i berlinesi hanno costruito senso. Sul serio: hanno utilizzato i viadotti per realizzare negozi, librerie, bistrot, tutti collegati da percorsi pedonali dove il treno non spaventa, anzi rassicura con la sua costante presenza.

E’ una ferrovia che le persone non usano solo per spostarsi. Letteralmente, la vivono. A Berlino, infatti, la ferrovia non è un non-luogo: è un pezzo di città, che serve a rimescolare le persone, a farle incontrare anche casualmente, a evitare di vedere, sui propri percorsi quotidiani, sempre le stesse livide facce.

Da noi, a Roma, la metropolitana racconta solo il suo essere obbligo, vincolo, ripetizione. Quando sfiora i quartieri borghesi, è il treno che prendono i turisti o gli studenti, o – semplicemente – gli sfigati che non possiedono l’auto. Nella migliore delle ipotesi, racconta se stessa: i colori dei treni, lo “stile” autoreferenziale delle stazioni, coi loro rari e comunque squallidi negozi, che le persone scansano frettolosamente a piedi lanciando qualche sguardo di disprezzo sia ai gestori che ai derelitti avventori. A Roma il treno è la negazione della socialità. Fosse per chi ha concepito la nostra metro, le nostre ferrovie metropolitane, potremmo anche tenere gli occhi chiusi per tutto il viaggio. Persino linee urbane nuove, come la FR1 e la FR3, che hanno collegato per la prima volta quelli che erano veri e propri compartimenti stagni mai entrati in contatto fra loro, come Trastevere con la Balduina, o come il Salario con la Magliana, si sono rivelate un’occasione persa. Anche perché lo Stato, tagliando costantemente i fondi per farle funzionare sul serio,  sembra quasi voler porre rimedio all’eresia, nel timore di creare un pericoloso precedente.

In alcune nostre città, come Milano, la metropolitana serve soprattutto a raccontare agli altri che sei a Milano: la città con la più grande metropolitana, che serve appunto ai milanesi a far funzionare la locomotiva d’Italia, la capitale morale, la città da bere e tutte le altre menate che ci hanno raccontato prima di scoprire il Trota e i suoi rimborsi per la palestra.

In altre, come Torino, la metropolitana serve a ricordare che sì, anche noi “anche noi” piemontesi ce l’abbiamo, ed è pure robottizzata. E hai voglia a spiegargli che da quelle parti tutto funzionerebbe egregiamente potenziando i tram e qualsiasi mezzo in grado di viaggiare su sede propria. Ma non sia mai, siamo a Torino, mica a S. Francisco.

In fondo, a noialtri italiani, alla fine interessa solo sgommare via dal parcheggio in doppia fila, possibilmente nel modo più visibile e rumoroso. Perché non siamo mai stati socialmente adulti, quindi dobbiamo anzitutto ancora dimostrare che possiamo staccarci dagli altri, spostandoci autonomamente, quando vogliamo noi.

E quindi, in definitiva no, non ci interessa guardare il mondo dal finestrino di un treno, come si può fare dalla S-Bahn. Non vogliamo e quindi non avremo mai un mezzo di trasporto che entra davvero nelle nostre giornate in punta di piedi, senza sostituirsi al paesaggio, senza interferire con la città, senza sottrarre nulla alle nostre vite proprio perché fa parte della nostra vita.

Ecco, forse è questa la principale differenza. La nostra metropolitana racconta se stessa. La S-Bahn racconta la città e la vita di chi ci abita. Alternando i colori tenui dell’inverno a quelli necessariamente sgargianti delle insegne, coi contorni distorti dalle gocce di pioggia e i suoni dei passi che si mescolano alla litania dell’altoparlante. Quell’immancabile “Ausstieg, Links”, che precede l’annuncio della prossima fermata.

E’ una questione antropologica. Proprio come noi, i nostri treni corrono rumorosamente sul piano della propria rappresentazione. Proprio come i berlinesi, la S-Bahn viaggia silenziosamente sul piano della realtà.