Perché non esiste una libreria così?

L’altro giorno, a Marina di Pietrasanta, sono entrato nella storica libreria del corso principale. Anche se ormai questo vecchio negozio sembra la metafora dell’editoria in crisi, con tanti libri accatastati e mai comprati da chissà quando, è un luogo a cui sono affezionato, e dove mi rifugio quando sono assediato dalla tipica pressione sociale che subiamo nei giorni di festa, in cui dovremmo avere sempre un sorriso per tutti tranne che per noi stessi.

Scappo lì dentro perchè una libreria, ogni libreria, compie sempre e comunque un miracolo: quello di moltiplicare le possibilità di incontrare persone curiose, che “vogliono arrivare in fondo alle storie” e quindi anche solo per questo motivo ci somigliano.

Ero lì con mia figlia, che come al solito ha usato Fidel – il cane bassotto di casa – come chiavistello relazionale, facendo subito amicizia con una bella bambina che stazionava nell’angusta area destinata ai libri per ragazzi. Mi volto, un paio di sorrisi familiari e capisco subito che si trattava della nipotina di carissimi amici, anche loro appassionati di “storie”.

E così la stringente sequenza degli impegni pasquali ha lasciato un breve spiraglio al senso, alla curiosità, alle persone con cui abbiamo qualcosa a che fare, che puntualmente incontriamo dove ci sono le storie: vere, inventate, semiromanzate, rilette o riraccontate in mille modi diversi, fatte di testo, di fumetti, di immagini fisse o in movimento. Comunque: storie.

Penso per un attimo alle grandi librerie o meglio, ai grandi Mediastore che popolano le grandi città. Spazi da sempre all’inseguimento dell’avventore casuale, fungibile, al quale vendere il libro piazzato nella piramide dopo l’ingresso, quello che è su tutti i manifesti, che si trova in cima a tutte le classifiche. Come se fossimo tutti uguali, come se avessimo non tanto voglia di leggere una storia per noi, ma qualcosa che ci faccia alzare la manina e dire “l’ho letto anch’io” quando siamo in mezzo a un crocchio di persone che “normalmente non hanno tempo di leggere, e quindi”.

Che clamorosa occasione perduta, penso. Perché in realtà una libreria dovrebbe offrire dei percorsi. E un “percorso” naturalmente può essere qualcosa di perfettamente intimo e definito in piena libertà da un lettore con idee più o meno, volontariamente o involontariamente, chiare. Ma può anche un percorso guidato da chi le storie le conosce, come dovrebbero essere i commessi delle librerie. E persino un percorso pubblico, una pubblica strada tra le storie.

Io i commessi delle librerie, quelli col broncio perenne che vanno subito a testa bassa a spulciare nell’intoccabile “terminale”, per vedere se tale libro c’è o non c’è oppure “possiamo ordinarlo”  – e allora tanti saluti, per tutto il resto c’è Amazon – li manderei a un corso di “storie”. Per fare in modo che siano in grado di capire, in poche domande, o da poche domande, di cosa ha bisogno (o cosa vuole, che è un po’ diverso) chi entra in libreria.

Bisogno di farsi una passeggiata al coperto, ma in mezzo a delle suggestioni mentre fuori piove, di sfogliare un Taschen illustrato, di rimorchiare attraverso uno scaffale, magari guardando cosa sta sfogliando quella tipa lentigginosa che gli ricorda la maestra delle medie, di comprare ma anche di regalare a qualcuno al quale siamo legati da “dati” (fatti, luoghi, emozioni, aspettative) che nessun, nessun database di Amazon potrà mai conoscere. Almeno per ora, finché c’è tempo.

E allora mi chiedo: perché non esiste una libreria dove entro e ok, se voglio non succede nulla, mi faccio il solito giro, ho le mie idee, vedremo cosa deciderò. Ma anche: entro, seguo il tappetino rosso, mi siedo in una sala dove un tizio con la maglietta Mondadori, Feltrinelli, quello che è parla dietro un tavolo con accanto uno scrittore. E no, non è la solita presentazione dei libri, è proprio un happening continuo, dove a un certo punto il tizio con la maglietta dice “e veniamo ad Anselmo, che dalla sua app ci ha detto che vorrebbe un romanzo storico, ma ne sa poco e ci ha solo detto che non dovrebbe essere ambientato prima del 1789, ché non si ricorda le vicende precedenti”. E vai con le risate di gioioso imbarazzo del pubblico, che in parte si è seduto lì solo perché è una specie di Apostrophes in diretta, che dura tutto il giorno, e molti saranno venuti solo per sentire, altroché.

con Bernard Pivot (TDF)

“Apostrophes”, di Bernard Pivot (1981)

Inizia un breve dialogo tra “maglietta rossa” con accanto Gianluca Morozzi – ce lo vedo, Morozzi a fare l’happening – e il cliente che per un quarto d’ora diventa “la star” del pomeriggio. E alla fine dico, alla fine di questo momento che già ti ha riempito la giornata, insieme ai quarti d’ora di tutti gli altri, un libro, due libri, non li vorrai comprare?

E non vorrai fare amicizia con le altre persone sedute lì con te, ad aspettare il loro turno? Non vorrai proseguire la conversazione dopo, davanti a un tè, invece di continuare a lanciare occhiate alla tipa lentigginosa oltre lo scaffale, senza alcuna concreta speranza di sentire se parla calabrese o friulano o una lingua sconosciuta?

Editori: svegliatevi. Le vostre librerie, quelle che state chiudendo con un tratto di penna su una stampata di Excel, sono forse il vostro ultimo asset non duplicabile. Sono gli ultimi luoghi in cui “possono succedere delle cose” tra quel pubblico che ancora vi si fila: i curiosi. E allora costruite qualcosa intorno a loro. Altrimenti hai voglia a comprarne, di Anobii. Hai voglia a presentazioni con gli influencer. Tempo dieci anni e avrete fatto la fine della Fnac di Roma: sostituiti da uno store di abbigliamento low cost.

Pensateci, vi prego. Ci mancherete.

[EDIT del 23.4] – Grazie all’incommensurabile Mafe scopro che la libreria in questione esiste, eccome. E’ a Milano e si chiama Open. Non vedo l’ora di visitarla. Ovviamente, la speranza è che cose del genere inizino a succedere anche nel resto d’Italia, e magari anche negli stores che raggiungono il grosso del pubblico. Cose del tipo apro il Vivimilano e trovo “come ogni pomeriggio, alla libreria X è tempo di Happening, stasera con [nome di scrittore a caso] e i consigli di [nome di heavy reader a caso]”. Chissà, magari, un giorno 🙂

8 risposte a “Perché non esiste una libreria così?

  1. Credo che l’autore dell’articolo frequenti poco le biblioteche di pubblica lettura e non conosca per nulla la maggior parte dei bibliotecari.
    In una biblioteca ( solo un esempio Biblioteca Lorenzo Leoni di Todi-PG) quello che viene descritto come una isolata chimera avviene continuamente.
    Il rapporto diretto e umano infatti è la mission fondamentale delle biblioteche (soprattutto quelle che hanno delle caratteristiche “amichevoli” anche nella progettazione architettonica, nell’organizzazione delle scaffalature, nella presenza di spazi comuni per la conversazione ect ) e, oltre a venire messo in atto ogni giorno attraverso l’accoglienza, viene vivacizzato da iniziative quali gruppi di lettura, letture a voce alta, laboratori didattici per la narrazione e molto altro.
    Cordialmente
    Fabiola

    • la ringrazio per il suo commento. vorrei chiarire che parlavo di librerie e non di biblioteche, nonché di rendere “evento aperto al pubblico” una attività specifica, e cioè l’indicazione di un percorso di lettura personalizzato, che quando va bene si risolve in un rapporto privato tra addetto alla libreria – e non bibliotecario – e cliente – e non una persona iscritta a una biblioteca. nulla a che vedere, quindi, con le iniziative pur meritorie da lei citate nel suo commento, cui ho tra l’altro avuto la fortuna di partecipare in diverse occasioni. per concludere, credo che sia abbastanza normale che io non conosca “la maggior parte dei bibliotecari”. si tratterebbe infatti, in questo caso, di conoscere migliaia di bibliotecari, e con tutto il rispetto preferisco avere una vita sociale più variegata. altrettanto cordialmente.

  2. Non la invitavo a conoscere la categoria “bibliotecari” (le assicuro che anche “loro” nella maggior parte dei casi hanno una vita sociale interessante e varia) [ il gelato è variegato!], ma la invitavo soltanto a tener presente un approccio non economico con i libri che può trovare nelle biblioteche e che mi sembrava ciò che desiderasse.
    Molto spesso infatti ci si trova di fronte a commessi di librerie che vendono libri come fosse prosciutto.
    Il mio intento era solo quello di suggerire luoghi dove avviene comunemente ciò che lei considerava quasi miracoloso (la Biblioteca della Sala Borsa di Bologna ne è l’esempio principe) e che per pure ragioni economiche e commerciali non sempre si può pretendere ad un negozio.
    Buona giornata 🙂
    Fabiola

  3. Un altro piccolo suggerimento: le biblioteche vivono (sopravvivono) grazie alle tasse che paghiamo. E’ un servizio: sfruttiamolo come si fa in altri paesi.

  4. sono un grande fan delle biblioteche e dei bibliotecari. e ho anche una passione speciale proprio per la sala borsa di bologna, dove ho scattato una delle mie foto di maggior successo 🙂 la loro funzione, specie nella versione “live” da lei citata, è insostituibile e sono felice di pagare le tasse per questo tipo di servizi.
    disgraziatamente, esiste anche un problema di sostenibilità dell’industria libraria. per un certo periodo mi sono occupato anche di modelli di business dell’editoria, e quasi tutte le storie di successo in materia di riconversione dei grandi editori passa attraverso il nuovo ruolo dei punti vendita (che sono – lo ripeto per chiarezza – il tema del mio post). questo non significa “fare concorrenza alle biblioteche sul loro terreno” ma proprio sostituire una semplice catena industriale lineare (autore – editore – distribuzione – redistribuzione dei margini) con un ecosistema che dia un nuovo ruolo al punto vendita. è un discorso complesso, che abbiamo affrontato a lungo in mille discussioni con addetti ai lavori e analisti di business. ma credo che sia un passaggio obbligato.

  5. Mi scusi se mi permetto di replicare di nuovo. La cosa, secondo me, assolutamente da sfatare, è che le biblioteche possano far concorrenza alle librerie perché è esattamente il contrario.
    Una biblioteca compra al massimo una copia di un libro (quando va bene o in casi particolari 2), di conseguenza può garantire solo la lettura per pochissime persone ogni volume. Fondamentale è invece il meccanismo che innesca per diffondere cultura. Se,ad esempio, nelle attività culturali delle biblioteche si parla di un autore, di una nuova uscita e quant’altro di attinente, questo genererà una sorta di tam tam e di scambio di informazioni sulla qualità di ciò che si promuove che può far solo bene all’industria editoriale.
    Se ci fosse un minimo di lungimiranza ( nel mio caso posso dire che molto disponibile ad esempio è stata La Laterza e in alcuni casi, grazie ai singoli autori, anche la Mondadori) dovrebbero essere proprio le case editrici a collaborare in modo propositivo con le Biblioteche che svolgono promozione di livello qualitativo generalmente buona.
    Consideriamo inoltre che il mercato editoriale ha una vita talmente ridotta negli ultimi anni (si trova in libreria un volume al massimo per tre mesi…poi se non è stato un “successo” son dolori per averlo) che una delle poche possibilità di permettere agli autori la sopravvivenza della loro produzione al di là di se stessi (mi viene in mente la celebre frase di Borges in relazione alla vita autonoma dei suoi scritti che diventavano inevitabilmente altro appena erano nelle mani dei lettori) è quella di avere accesso ai fondi bibliotecari.
    Ribadisco, secondo me, fondamentale anche per l’industria editoriale sarebbe la collaborazione attiva e propositiva con le Biblioteche. Questa mia convinzione mi ha portato a collegare il suo intervento sulle librerie alle attività delle biblioteche.
    Buona giornata
    Fabiola

  6. non solo sono d’accordo con tutto quello che dice, ma anche rileggendomi non trovo il punto in cui ho detto che le biblioteche e le librerie sono in concorrenza 🙂

  7. Pingback: Le librerie dopo i libri

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